Le Ministero dell’Agricoltura sta spingendo per riformare la storica legge 157 de 1992, che regola la tutela della fauna selvatica e l’attività venatoria in Italia. La proposta, voluta dal ministro Francesco Lollobrigida, mira a rivedere profondamente tempi, modalità e gestione della caccia. Ma cosa c’è davvero dentro questa riforma? E perché sta facendo così discutere?
Eccola in breve:
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Estensione dei periodi di caccia, anche durante la stagione riproduttiva
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Caccia ammessa nei parchi e nelle aree protette
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Partecipazione diretta degli agricoltori al contenimento faunistico
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Riapertura all’uso di tecniche tradizionali per la cattura degli uccelli
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Giustificazione formale come “strumento di monitoraggio”
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Autorizzazione degli abbattimenti anche nei centri abitati
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Maggiore autonomia decisionale per le Regioni
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Possibilità di derogare alla normativa statale e comunitaria
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Controllo faunistico autorizzato tutto l’anno
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Rimozione dell’obbligo di parere dell’ISPRA
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Introduzione dei coadiutori volontari
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Deroghe estese alla Direttiva Habitat
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Ritorno ai roccoli nei piani regionali
Vediamo insieme cosa più in dettaglio cosa prevede la bozza e perché ha fatto scattare l’allarme tra ambientalisti e naturalisti.
Nuova legge sulla caccia: più libertà ai cacciatori, meno tutele per la fauna?
Uno dei nodi principali riguarda la possibilità, per le Regioni, de estendere i periodi di caccia e autorizzarla anche nei parchi e nelle aree protette in caso di “emergenze faunistiche”. Secondo il disegno di legge, verrebbero ridotti i vincoli oggi imposti dalle normative europee e nazionali.
Il testo apre anche alla caccia durante la stagione riproduttiva, giustificandola come strumento di contenimento. Un punto che ha sollevato forti critiche da parte di WWF, Lipu e Legambiente, che vedono il rischio di alterazioni profonde negli equilibri naturali.
Le principali criticità segnalate:
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Mancanza di limiti chiari sui periodi di caccia
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Possibilità di cacciare nei parchi nazionali e regionali
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Indebolimento dei controlli ambientali da parte dello Stato
Cosa prevede concretamente la riforma proposta?
La bozza del disegno di legge introduce cambiamenti strutturali che modificano l’attuale equilibrio tra tutela della biodiversité e gestione faunistica:
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Controllo faunistico autorizzato tutto l’anno, anche in fase riproduttiva e dentro le aree protette
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Cacciatori autorizzati a operare anche nelle città o nelle zone periurbane per motivi di sicurezza
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Agricoltori coinvolti direttamente nel controllo degli animali selvatici, anche in assenza della polizia faunistica
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Eliminazione del parere obbligatorio dell’ISPRA, l’ente scientifico nazionale che valuta l’impatto ecologico degli abbattimenti
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Deroghe regionali alle norme europee sulla protezione della fauna
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Coadiutori volontari abilitati, che affiancherebbero le autorità nel contenimento
Questi punti sono stati presentati come una risposta alla crescente presenza di animali selvatici, surtout cinghiali, ma gli esperti temono che si tratti di una liberalizzazione senza precedenti della caccia, con pochi controlli e gravi rischi per l’ambiente.
Il ritorno dei roccoli, una riapertura che fa discutere
Un altro tema caldo è quello dei roccoli, strutture vegetali tradizionali usate per la cattura degli uccelli migratori. Banditi in passato dalla normativa nazionale in linea con le direttive UE, potrebbero ora essere reintrodotti con la scusa del monitoraggio.
Nel testo, si ipotizza l’uso dei roccoli “a fini scientifici”, ma secondo le associazioni ambientaliste si tratta di una scappatoia per reintrodurre un metodo poco selettivo e pericoloso, già dichiarato illegittimo in passato.
Secondo la Lipu, questa misura rappresenterebbe un pericoloso passo indietro, che riporta indietro di trent’anni le politiche di conservazione della fauna selvatica.
Caccia urbana e potere alle Regioni, il ruolo dello Stato si riduce
Un’altra novità centrale è l’ampliamento delle competenze regionali: le Regioni potrebbero decidere autonomamente come, dove e quando intervenire, aussi senza più l’autorizzazione del governo centrale o il parere vincolante degli enti scientifici.
De plus,, viene autorizzato l’uso delle armi anche in aree densamente abitate, come zone residenziali, parchi urbani o aree agricole prossime ai centri abitati, con la motivazione di “tutela della sicurezza pubblica”.
Gli ambientalisti e parte del mondo accademico vedono in questa impostazione un pericoloso scivolamento verso una gestione frammentata e disomogenea della fauna, che rischia di rispondere più a logiche politiche locali che a criteri scientifici e ambientali.
Dernière mise à jour le 20 Mai 2025 De Rossella Vignoli
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